Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/122

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GOGOL

veva essere ancora giovine, sebbene fosse impossibile scorgerlo nei suoi lineamenti sfigurati e disfatti. Aveva in testa un fazzoletto di seta rosso, i cui angoli, cadenti a modo di infule sugli orecchi, erano ornati con una doppia fila di perle o finte perle; due o tre lunghi riccioli tutti arruffati uscivano di sotto ad essi e cadevano sul collo che mostrava i tendini irrigiditi. Accanto a lei giaceva un bambino convulsamente attaccato con una mano al petto di lei, e lo torceva con le dita, inconsapevolmente cattivo, non trovandovi una stilla di latte. Non piangeva ormai, non gridava, e solo dal suo ventre che lentamente si abbassava e si sollevava, era possibile pensare che non fosse ancora morto; o almeno che ancora non facesse altro che prepararsi ad esalare l’ultimo respiro. I due viandanti si rimisero in cammino, quando a un tratto furono fermati da un certo pazzo furioso, che vedendo Andrea col suo carico prezioso, gli si avventò addosso come una tigre e gli si avvinghiò gridando: «Pane!». Ma le sue forze non erano pari al suo furore; Andrea gli diede una spinta, ed egli rotolò a terra. Mosso a compassione, Andrea gli gettò un pane, sul quale il disgraziato si avventò come un cane rabbioso, lo addentò, lo morse da ogni parte, e all’istante, lí nella strada, fra orrende convulsioni spi-


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