Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/147

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TARAS BUL'BA


— E come! Ci sono molti dei nostri: Izka, Rchum, Samuilo, Chaivaloch, l’appaltatore ebreo.

— Al diavolo quanti sono, quei cani! — esclamò Taras stizzito. — Che mi stai a importunare con la tua razza giudaica? Io ti domando dei nostri Saporogini.

— Dei nostri Saporogini non ho veduto nessuno, ma ho veduto soltanto il signor Andrea.

— Andrea hai veduto? — gridò Bul’ba. — Che mai dici? Dove l’hai veduto? In una cantina? In una fossa? Messo alla gogna? Legato?

— E chi oserebbe legare il signor Andrea? Adesso è un cavaliere tanto importante... In fe’ di Dio, io non lo riconoscevo! Le spalline in oro, i polsini in oro, il fermaglio in oro, e oro alla cintura, e dappertutto oro, e tutto oro! Come risplende il sole in primavera, quando nell’orto ogni uccelletto cinguetta e canta, e l’erba odora, cosí lui rifulge tutto nell’oro. Anche il migliore cavallo che esista gli ha dato da cavalcare il Vojevoda! Duecento ducati costa, il cavallo solo.

Bul’ba rimase di sasso.

— A che scopo egli indossò una montura straniera?

— Perché è migliore, per questo l’indossò. E va attorno accompagnando e facendosi ac-


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