Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/170

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GOGOL


E il Koscevoj si cavò il berretto, questa volta non da comandante, ma come un camerata, ringraziò dell’onore tutti i cosacchi e disse:

— Ci sono molti in mezzo a noi, non solo piú anziani di me, ma anche piú saggi nel consigliare; ma giacché avete fatto a me questo onore, ecco il mio consiglio: non perdere tempo, camerati, inseguire i Tartari. Giacché voi sapete che uomo è il Tartaro: non istarà col ricco bottino ad aspettare il nostro arrivo, ma in un attimo lo dissiperà in modo che non ne troverai neppure la traccia. Quindi il mio consiglio: andare! Qui, noi ci siamo già sbizzarriti. I Ljachi sanno quel che valgono i cosacchi; per la religione, per quanto era nelle nostre forze, ci siamo vendicati; bottino dalla città affamata non se ne caverà molto. Dunque il consiglio mio: andare!

— Andare! — fu il grido che risonò forte tra le kurjenje dei Saporogini. Ma a Taras Bul’ba non andavano a sangue tali parole, e piú che mai egli calò sugli occhi i corrugati suoi sopraccigli, non piú neri né ancora bianchi, ma simili a cespugli cresciuti sull’alto cocuzzolo di un monte, invasi nelle loro cime da un’ispida brina di tramontana.

— Non è giusto il tuo consiglio, Koscevoj! egli disse. — Tu non parli a modo. Tu hai


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