Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/177

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TARAS BUL'BA

tutti gli approdi e nelle isole del Dnjepr; erano stati in territorio moldavo, valacco e turco; avevano percorso tutto il Mar Nero coi canotti cosacchi a due remi; avevano assalito in cinquanta canotti in fila i piú alti e ricchi navigli; avevano affondato non poche galere turche, e avevano in vita loro consumato un’infinità di polvere da sparo. Piú d’una volta s’erano preparate fasciature ai piedi strappando preziosi broccati e sciamiti; piú d’una volta avevano rimpinzato di zecchini d’oro sonanti le borse che portavano legate alla stringa dei calzoni. E quanta ricchezza aveva ciascun di loro consumata nel bere e nel darsi bel tempo (ricchezza che ad un altro uomo sarebbe bastata per tutta la vita), non si può calcolare. Tutto sperperavano alla cosacca, regalando a destra e a sinistra e noleggiando bande di musicisti per fare stare allegro ogni essere vivente in questo mondo. Anche adesso era difficile che a qualcuno di loro mancasse qualche tesoro sotterrato: coppe, ramaiuoli d’argento e braccialetti, sepolti sotto i canneti nelle isole del Dnjepr, perché non potesse trovarli il tartaro, qualora per una disgrazia gli venisse fatto di piombare all’improvviso sulla Sjec; ma sarebbe stato difficile per il tartaro trovare uno di quei tesori, perché lo stesso proprietario aveva già dimenticato


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