Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/221

Da Wikisource.

TARAS BUL'BA


— Resta qui, pensa a dare da mangiare e da bere al mio cavallo; e io andrò a parlare con lui da solo a solo; ho da trattare con lui un affare.

Quel giudeo era il noto Jankelj. Si trovava lí ormai in qualità di appaltatore e bettoliere; aveva preso a poco a poco nelle sue mani tutti i signori e uomini d’arme dei dintorni, aveva succhiato quasi tutti i denari, e aveva dato una forte notorietà alla sua presenza di giudeo nel paese. Per un raggio di tre miglia intorno intorno non rimaneva una sola capanna in buono stato: tutto era rovinato o vacillante, tutto era stato ridotto alla miseria, e rimaneva solo la miseria e i cenci; come dopo l’incendio o la peste, tutto il paese era stato esposto all’aria. Se Jankelj seguitava a vivere lí altri dieci anni, probabilmente mandava all’aria tutto il vojevodato.

Taras entrò nella stanza. Il giudeo pregava, avvolto nel suo piuttosto sudicio sudario, e si voltò per sputare l’ultima volta secondo l’usanza della sua religione, allorché improvvisamente il suo sguardo s’incontrò in Bul’ba che gli stava dietro. Subito, prima di ogni altra cosa, balenarono agli occhi del giudeo i duemila zecchini di taglia messi sul capo del cavaliere. Ma egli si vergognò della sua cupidigia, e si


219