Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/323

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Capitolo II

In cui si può vedere di che s’invogliò Ivan Ivanovic; per la qual cosa nacque un colloquio tra Ivan Ivanovic e Ivan Nikiforovic, e come esso andò a finire.
U

na mattina — s’era nel mese di luglio — Ivan Ivanovic era sdraiato sotto la tettoia. La giornata era calda, un’aria secca si spandeva in folate. Ivan Ivanovic s’era già sbrigato dalla sua visita in città, era stato dai mietitori, aveva girato per la fattoria, aveva rivolto domande ai contadini e alle donnicciuole incontrate per via, per sapere d’onde venissero, dove andassero e a che fare; s’era stancato a morte, e s’era sdraiato per riposare. Messosi giú, stette un pezzo a guardare i granai, il cortile, le rimesse, i polli che correvano per la corte, e pensava tra sé: «Signore, mio Dio! che padrone io sono! che mi manca? polli, fabbriche, granai, qualunque capriccio, vodka distillata, filtrata; nel giardino,


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