Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/51

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TARAS BUL'BA

cavalli nell’acqua e vi nuotarono dentro un pezzo per nascondere le proprie orme, e finalmente si trassero alla riva e proseguirono il loro cammino.

Tre giorni dopo essi erano già non molto lontani dal luogo fissato come mèta del viaggio. A un tratto l’aria si fece piú fredda: essi sentirono la vicinanza del Dnjepr. Ecco, il fiume comincia a luccicare da lontano e si stacca dall’orizzonte in forma di una striscia opaca. Spira freddo dalle sue onde e si allarga via via che si appressa, e da ultimo abbraccia una metà dell’intera superficie della terra. Era quel punto in cui il Dnjepr, stretto fin lí tra dirupi, diveniva finalmente padrone di sé, spumeggiava come un mare, scorrendo liberamente, là dove le isole gettate nel suo seno lo respingevano sempre piú lontano dalle sue rive, e le sue onde si distendevano largamente sulla terra, non incontrando né scogliere né alture. I cosacchi smontarono dai loro cavalli, salirono sopra una chiatta, e con tre ore di tragitto furono ormai alle rive dell’isola Chortiza, dove era allora la Sjec, che cosî spesso cambiava la sua residenza.

Una folla di gente sulla riva leticava coi tragittatori. I cosacchi allestirono i cavalli. Taras assunse un gran sussiego, si strinse piú forte la cintura e fieramente si passava la mano sui


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