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156 parte seconda


caso di Pasqualino, ed era ritornato in seno della propria famiglia. Se l’istoria è vera, convien dire che questo giovine prima di entrare al teatro avesse realmente nel suo interno qualche buona disposizione ad emendarsi, e che se la mia composizione potè contribuirvi in qualche parte, avvenne forse per l’espressione energica di Pantalone, che aveva l’arte di ricercare gli effetti e di commuovere i cuori al pianto. Ecco due felicissime rappresentazioni, il soggetto principale delle quali era stato da me desunto dalla classe del popolo. Cercavo di tenere dietro alla natura per tutto, trovandola sempre bella, quando in special modo mi somministrava modelli virtuosi e sentimenti della più sana morale. Eccovene però adesso una appartenente alla sublime arte comica intitolata: Il Cavaliere e la Dama.

Era molto tempo che io guardava con maraviglia quegli esseri singolari chiamati in italiano cicisbei, martiri della galanteria, e schiavi de’ capricci del bel sesso. La commedia di cui son ora per render conto, ha relazione ai medesimi particolarmente: bene è vero, che non potevo pubblicare nell’affisso il titolo di cicisbeo per non irritare preventivamente la numerosa brigata dei galanti: onde occultai la critica sotto il manto di due personaggi di virtuoso carattere posti a contrasto con altri ridicoli. Donna Eleonora d’illustre nascita, ma di mediocre fortuna, avea sposato un gentiluomo napoletano molto ricco, refugiato a Benevento per avere avuto la disgrazia di uccidere un uomo in duello, essendo per tal ragione confiscati tutti i suoi beni. La signora che null’altro avea portato in dote che nobiltà, si trova in cattive acque, tanto più che suo marito le domandava continuamente aiuti, e la lite intrapresa contro il fisco non era ancora al suo termine. Essa è donna di ammirabile saviezza, e d’una delicatezza senza pari: e poichè va debitrice della pigione di casa, spropriasi di alcune gioie per pagarla. Anselmo, proprietario della medesima, uomo avanzato in età e molto onesto, conoscendo la probità e indigenza della dama, ricusa di ricevere il suo avere: essa insiste, ma egli la prega con tal buona grazia, che trovasi obbligata a ritenere in mano il danaro. Giunge un momento dopo il procuratore di lei, e sotto pretesto delle spese occorse per la lite, le porta via fino all’ultimo soldo che avea già scorto colla coda dell’occhio sulla tavola. Don Rodrigo, persona di una delle primarie famiglie del regno di Napoli, professava per donna Eleonora molta considerazione ed affetto, ma non era suo cicisbeo: essa lo stimava in egual modo, lo vedeva di tempo in tempo in casa sua, ma non l’avrebbe mai sofferto in qualità dì galante. Quest’uomo rispettabile, che conosceva appieno la delicatezza di donna Eleonora, cercava pretesti per procurarle soccorsi, ma avendo essa bastante svegliatezza per accorgersene, trovava sempre buone ragioni per ischermirsi, senza alterezza e senza dar segno di ricusare i medesimi. Nondimeno parecchie dame della città, ciascuna col respettivo cicisbeo, credevano assolutamente che don Rodrigo fosse il favorito di donna Eleonora, e venuta ad esse la curiosità di sapere come si diportasse nell’assenza di suo marito, vanno un giorno a farle visita in compagnia dei loro cavalieri. Si vede in questa scena il marito di una essere il cicisbeo dell’altra, e si conosce la reciproca loro soddisfazione: si sentono i discorsi di quella compagnia galante, e si può così avere una idea dell’indole delle conversazioni di tal sorte. Ma ciò può conoscersi anche meglio ne’ soliloqui: ne riporterò pertanto un solo saggio che io ho preso dalla natura, e trovasi nella settima scena del primo atto.