Pagina:Goldoni - Memorie, Sonzogno, 1888.djvu/325

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capitolo xxi 323


loro dissesto. Il visconte vede che ella ha ragione. Confessa, che allorquando suo padre gli cedesse la direzione di tutti gli affari, spererebbe di assestarli in modo, da proseguire poi senza ostacolo la sua via nel servizio, che per mancanza di mezzi si vede in procinto di abbandonare. Araminta rimane commossa dalla condizione di questo giovane, di cui ella conosce il merito e la probità. — Voi dunque, essa gli dice, non siete in grado di ammogliarvi. Rimanete libero, e lasciate pure mia figlia in libertà di seguire il suo destino; e quando vi possano riescir gradite le prove della mia sincera amicizia, io vi offro di buon cuore la somma che è per occorrervi affine di comprare un decoroso posto nel reggimento, nè altre garanzie vi domando che la vostra parola d’onore.

Commosso il visconte dal più tenero sentimento di riconoscenza, risponde: — E se mai morissi, signora? — Ebbene, se voi moriste, soggiunge Araminta, io forse avrò perduto il mio danaro, ma non avrò con esso perduto tutto, restandomi sempre il piacere di avere favorito un uomo dabbene. Dopo ciò vanno insieme a casa di Dorimene; il visconte intanto chiama la Fleur, perchè avvisi il padre, nel caso che egli dimandasse di lui. Ecco il marchese; ordina la carrozza, ed è in furia contro il cocchiere. La Fleur lo difende dicendogli, che quello di Casteldoro gli aveva negato la paglia per i cavalli; il marchese non può crederlo. No, Casteldoro (egli dice) non è avaro. — La Fleur sostiene il contrario, e racconta al padrone ciò che Frontino gli aveva comunicato in confidenza. Il marchese però rammenta i centomila franchi in diamanti, ma la Fleur scuopre il mistero di questi diamanti presi in prestito. — Come! (soggiunge poi il marchese) un avaro nascosto; un uomo falso! Egli è... così va bene... l’uomo il più meschino del mondo. Mia figlia?... No, egli non avrà... Centomila franchi in diamanti, e punta paglia? (Parte).

Nel quinto atto, facendosi notte, Casteldoro fa accendere le luminiere e i candelabri.

Frontino chiama la Fleur, per farsi aiutare. Egli vi acconsente con piacere, sperando di passarsela in quel giorno molto bene. Frontino però non gli promette gran cose. Almeno una bottiglia di vino, dice la Fleur; ma l’altro risponde, che neppure questa è sicura: il mio padrone ha sempre in tasca piccole pallottoline di carta, e ne cava fuori una ogni volta che comparisce in tavola una bottiglia, di modo che alla fine del pranzo sa per l’appunto quante se ne son portate in tavola, ed è per conseguenza difficilissimo trafugarne. Ma ecco nuovamente Casteldoro in aria furiosa e brusca, perchè tutti lo disprezzano, perchè vien rigettato da ogni parte. Manda fuori la Fleur, e dà ordine a Frontino di spegnere tutti i lumi. Frontino obbedisce, ma con rincrescimento, e Casteldoro spegne da sè col fazzoletto l’ultimo lume; e restano al buio. Egli vuole uscire, ma sentendo gente che entra, si nasconde. È questi la Fleur, che è maravigliato di vedere spenti tutti i lumi. S’incontra in Frontino, si riconoscono, cominciano di nuovo a chiacchierare. Casteldoro pertanto è testimone di quel che si dice di lui, e Ciò somministra materia a parecchie scene comiche, i cui particolari riescrebbero troppo prolissi: eccone però una, che stimo conveniente trascrivere.