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IL PRODIGO 265


Clarice. Sederemo tutti dunque. (a Momolo)

Momolo. Sti signori m’immagino che i se vorrà devertir. Hale visto el zardin? (a Leandro ed Ottavio)

Leandro. Non ancora; ma lo vedremo.

Momolo. Questa xe la vera ora de goderlo. No xe troppo sol, e pò col sol el se gode più. Le vederà delle strade coverte, dei viali ombrosi che rende un fresco el più delizioso del mondo.

Leandro. Dopo pranzo lo goderemo, in compagnia colla signora Clarice.

Ottavio. Per verità, per quanto i viali sian freschi, a quest’ora non ho mai veduto che si vada a passeggiare in giardino.

Momolo. Sale zogar al trucco?

Ottavio. Io sì, me ne diletto.

Momolo. Via donca, che i vaga, che i zoga, che i se deverta1.

Leandro. Al trucco io non ci so giocare.

Momolo. Che i vaga in portego, che i se fazza dar un mazzo de carte, che i zoga quattro partide a picchetto.

Leandro. Signore, con sua buona grazia, prendo una sedia e per ora mi contento di restar qui. (prende una sedia e si pone a sedere)

Ottavio. Bene dunque, faremo qui la nostra conversazione. (fa lo stesso)

Clarice. La compagnia è il più bel divertimento della campagna.

Momolo. (Za lo vedo. Soli no se avemo mai da trovar). (da sè)

Ottavio. Come si diverte il signor Momolo nella sua bella villeggiatura?

Momolo. Per dir la verità, mi me deverto benissimo. Poche volte son solo. Vien sempre qualche amigo a trovarme. Co2 xe bon tempo, no passa zorno che no gh’abbia amici che me favorisse; qualche volta semo diese, dodese, e l’Autunno vinticinque, trenta. Co no vien nissun, vago al caffè; se trovo galantomeni, i meno a disnar con mi, e co no gh’è altri, fazzo vegnir i contadini e le contadine. Che dago da magnar e da bever fina che i vol. Se fa dei zoghi e pago mi per tutti. Tutte ste putte che se marida, le me invida mi per compare. Son solito a darghe trenta o quaranta ducati, acciò che le

  1. Paperini: diverta.
  2. Co: quando.