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474 ATTO SECONDO


Rosaura. Siam soli, Florindo: posso a mia voglia empio, mancatore chiamarvi.

Florindo. Dite tutto ciò che volete. Sempre direte meno di quel ch’io merito.

Rosaura. Ecco la vostra solita disinvoltura! Così solevate umiliarvi, qualunque volta giustamente di sdegno accesa mi conoscevate.

Florindo. Ma che volete ch’io faccia? Avete ragione, lo confesso.

Rosaura. Se ho ragione, avete da farmi giustizia. Mi avete promesso fede di sposo, dovete mantenermi la promessa1.

Florindo. Abbiate pazienza: vi sarà tempo. Mi ricordo del mio impegno: state zitta, e lo manterrò.

Rosaura. No, no, non vi lusingate di deludermi, come faceste per lo passato. Non vi credo, vi conosco. O sposatemi subito, o saprò vendicarmi.

Florindo. Che diavolo! con gli stivali in piedi ho da sposarvi?

Rosaura. Che stivali! che barzellette?2

Florindo. Ma che volete che dica mio padre?

Rosaura. Vostro padre s’accheterà, quando saprà di che mi siete voi debitore.

Florindo. Datemi almeno due giorni di tempo. (Se posso fuggire, qualche cosa sarà). (da sè)

Rosaura. Due giorni di tempo, eh? Mendace, scellerato. Credete ch’io non sappia le vostre baratterie? Ho conosciuto quel giovane, che avete con voi condotto. Sì, quella è Isabella. Ma giuro al Cielo, mi saprò vendicare. Pubblicherò i vostri inganni; farovvi arrossire; vostro padre vi scaccerà dalla casa; vi aborriranno i vostri parenti; sarete la favola di Bologna. Voglio vedervi precipitato.

Florindo. (Ed è capace di farlo). (da sè) Deh, cara Rosaura, abbiate pietà di me.

Rosaura. Cara Rosaura, eh! Chiudete la sacrilega bocca. Non proferite il mio nome.

  1. Bettin.: promissione.
  2. Bettin. e Paper.: Che stivali? che barzellette? Datemi la mano. Chiamiamo due servitori per testimoni, e son contenta.