Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1908, II.djvu/104

Da Wikisource.
98 ATTO PRIMO


poderave far dopo el matrimonio? Concludemo le cosse tra de nu, e pò andemo drio a ceremoniar anca un anno, che no ghe penso gnente.

Rosaura. Eh, signor Zanetto, mi pare che vi vogliate prender divertimento di me.

Zanetto. Seguro che me vorave devertir, ma col matrimonio.

Rosaura. Lo farete a suo tempo.

Zanetto. Dise el proverbio: chi ha tempo no aspetta tempo. Via, no me fé più penar. (s’accosta, e vuol toccarle la mano)

Rosaura. Ma questa poi è un’impertinenza.

Zanetto. E via, che cade1!

Rosaura. Abbiate giudizio, vi dico.

Zanetto. Siben, giudizio. (vuol abbracciarla, ella gli dà uno schiaffo)

Rosaura. Temerario!

Zanetto. (Senza parlare si ferma attonito, si tocca la guancia. Guarda in viso Rosaura, fa il motto dello schiaffo, la saluta, e alla muta correndo parte.)

SCENA VIII.

Rosaura, poi Pancrazio.

Rosaura. Poter del mondo! che uomo improprio! che giovine sfacciato! non mi sarei mai creduta una tale temerità in colui, che sembra a prima vista uno sciocco. Ma appunto questi guarda basso sono quelli che ingannano più degli altri. Noi altre donne mai non ci dovremmo2 trovare da sola a solo cogli uomini. Sempre s’incontra qualche pericolo. Me l’ha detto tante volte quel buon uomo del signor Pancrazio... Ma eccolo che viene; veramente nel di lui volto si vede a chiare note la bontà del suo cuore.

Pancrazio. Il ciel vi guardi, fanciulla; che avete, che vi veggo così alterata?

Rosaura. Oh, signor Pancrazio, se sapeste cosa mi è accaduto!

  1. Che cade? cosa serve?
  2. Così Bettin.; Paper.: si doveressimo; Zatta: si dovremmo.