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LA PUTTA ONORATA 481

Beatrice. Chi è questo?

Bettina. Pasqualin, fio del so barcarìol.

Beatrice. Ed egli vi corrisponde?

Bettina. Assae; ma tuto el mondo ne xe contrario.

Beatrice. Lasciate far a me, che prometto di consolarvi. Or ora devo uscire di casa. Sola qui non vi voglio lasciare. Verrete con me.

Bettina. Farò quel che la comanda, lustrissima.

Beatrice. Verrete meco alla commedia.

Bettina. Oh, la me perdona, no ghe son mai stada. Le pute no le va a la comedia.

Beatrice. Le putte non devono andare alle commedie scandalose; ma alle buone commedie, oneste e castigate, vi possono, anzi vi devono andare; e se verrete meco, sentirete una certa commedia che forse vi apporterà del profitto.

Bettina. Farò quel che comanda vussustrissima. Ma sior Marchese?

Beatrice. Mio marito verrà, non vi troverà più, e avrà da far meco.

Bettina. E el mio povero Pasqualin?

Beatrice. Lo farò cercar da suo padre...

Bettina. Oh, anca quel omo, se la savesse co contrario chel me xe!

Beatrice. Non saprà per qual causa io lo cerchi.

Bettina. Oh siela benedeta! La me farà una gran carità.

Beatrice. Avete fame? Volete mangiare?

Bettina. Eh, lustrissima, no, grazie. Più presto che andemo via, xe megio.

Beatrice. Quando così, andiamo. Ma sento aprire quest’altra porta.

Bettina. Giusto per de qua i m’ha ficà drente anca mi.

Beatrice. Sarà mio marito, senz’altro.

Bettina. Adesso stago fresca; scampemo via, per amor del cielo.

Beatrice. No, faressimo1 peggio.

Bettina. Velo qua ch’el vien.

Beatrice. Spegniamo il lume. Fate quello che vi dico io, e non dubitate. (spegne il lume)

Bettina. Adesso sì che me vien l’angossa.

  1. Zatta: faremmo.