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l’abate Chiari, scritte nel principio del 1755 in certo suo romanzo (La commediante in fortuna, Ven., Pasinelli, I, 124-8; e G. Ortolani, Della vita e dell’arte di C. G., Ven., 1907: Appendice), a cui fanno eco le notizie di Franc. Bartoli (Notizie istoriche de’ Comici It.i, Padova, 1782). Goldoni stesso, superata la stizza che ebbe a provare, come vedremo, nel 1753, di cui ci sfuggono in parte le ragioni, rese giustizia al Medebach; e tanti anni dopo, riconosceva ancora di aver trovato «nell’onorato comico», in un momento decisivo della sua esistenza, l’aiuto più efficace per il trionfo dei propri ideali (p. 142 del vol. I di questa ed.). Certo dobbiamo al comune consiglio del poeta e del capocomico se la riforma, morale a un tempo ed artistica, del Teatro potè imporsi al pubblico italiano.

Anche di Placida, o meglio in arte Rosaura, per la quale furono scritte la Vedova scaltra, la Putta onorata, la Buona moglie, la Finta ammalata, la Dama prudente, la Figlia obbediente, la Moglie saggia, dura a torto la fama di donna bisbetica, diffusa dalle memorie goldoniane e confermata dalle argute scene pseudo-storiche di Paolo Ferrari (Goldoni e le sue sedici commedie nuove, 1851). È da ricordare di Teodora Raffi, giovane moglie del Medebach, gli onesti costumi, la sensibilità e delicatezza dell’animo e della persona, gli umili principi in un casotto di saltatori nella piazza di S. Marco, la passione ardentissima per il teatro, la fine immatura (a 37 anni, nel genn. ’61), la grande arte nell’interpretazione dei teneri affetti: col buon testimonio del Goldoni (pp. 142-3, vol. I della presente ed.; e Mémoires), del Chiari (La commed. in fort., 1. c.) e del Bartoli.

Segue Beatrice, seconda donna, la bella Caterina Landi, descritta in un sonetto del Poeta fanatico (A. II, sc. 10); moglie di Luzio Landi fiorentino, il Lelio goldoniano, che poi ritroveremo sul teatro di S. Angelo (v. Bartoli e Rasi). Eugenio, o meglio Fiorindo, il secondo amoroso, chiamavasi Francesco Falchi, l’attore bolognese che passò pure sulle scene del teatro Vendramin (v. Bartoli e Rasi) con la fida moglie Vittoria, cioè la Eleonora lodata nel Poeta fanatico. Delle maschere famoso è il pantalone Tonino, Antonio Mattiuzzi (o Matteucci) Collalto di Vicenza, col quale il Medebach riempì fortunatamente il gran vuoto lasciato dal D’Arbes: nè occorre spender parola per il brighella Anselmo, Gius. Marliani, cognato del capocomico (p. 143 del vol. I).

Del Dottore, dell’Arlecchino, di Colombina non conosciamo più il nome: attore malsicuro il primo (v. lett. all’Arconati dei 10 ott. ’50); nuovo e debolissimo il secondo (ivi), tanto che nel febbraio successivo fu cambiato (con Ferd. Colombo, lett. all’Are. dei 27 febb. ’51); e l’ultima pure, al termine del carnovale, messa in fuga da Maddalena Raffi Marliani, Mirandolina (ivi).

Che il Goldoni obbedisca alle più vitali regole intorno alla Commedia della critica del Rinascimento in Italia e fuori, non si può negare: egli si adagia volentieri, poichè gli costa poco, nelle forme prestabilite della commedia classica, ma senza superstizione. Professa un libero culto alla tradizione letteraria, con parecchie infrazioni, essendo troppo savio e arguto per abbandonare certe belle licenze del teatro pubblico a soggetto, in uso da secoli: anch’egli, al pari di Molière e di tutti quanti, persuaso che la gran regola delle regole è quella di piacere. «... I due libri su’ quali ho più meditato, e di cui non mi pentirò mai di essermi servito, furono il Mondo e il Teatro» scriveva nella prefazione