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364 ATTO TERZO

Rosaura. So perchè siete venuto. Eccola la vostra sposa. Eccola la vostra cara1; servitevi pure, che io per non recarvi soggezione e disturbo, già mi ritiro.

Florindo. Si fermi...

Rosaura. Mi maraviglio di voi. Conoscete meglio il vostro dovere, e vergognatevi di voi medesimo. (parte)

SCENA XI.

Florindo e Beatrice.

Florindo. (Sono cose da morire sul colpo). (da sè)

Beatrice. Avete sentito? È invidiosissima. Ha una rabbia maladetta ch’io sia la sposa; vorrebbe che non vi fossero altre spose che ella2.

Florindo. (Come ho io da fare a liberarmi da questa donna3 che mi perseguita?) (da sè)

Beatrice. Orsù, giacchè siamo soli,4 permettetemi ch’io vi spieghi l’estrema mia consolazione, per la felice nuova recatami da mio nipote.

Florindo. Che cosa le ha detto il suo signor nipote5?

Beatrice. Mi ha detto che voi veramente mi amate, e che mi fate degna della vostra mano.

Florindo. (Maladetta quella lettera! in che impegno mi ha posto!) (da sè)

Beatrice. Quando pensate voi che si concludano6 le nostre nozze?

Florindo. Mi lasci andare a Venezia; tornerò, e concluderemo.

Beatrice. Oh! questo poi no; a Venezia non vi lascio andare senza di me.

Florindo. Conviene ch’io vada per gli affari miei7.

Beatrice. Io non impedirò che facciate gli affari vostri.

Florindo. Avanti di condurre una moglie8, bisogna che vada io.

Beatrice. Bene; fate così, sposatemi, e poi andate.

  1. Pap.: cara Beatrice.
  2. Pap.: che lei.
  3. Pap.: fanciulla.
  4. Pap. aggiunge: caro signor Florindo.
  5. Pap.: fratello.
  6. Pap.: celebrino.
  7. Pap.: a dar sesto a fatti miei.
  8. Pap. aggiunge: a Venezia.