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LA DONNA VOLUBILE 409


procurandoghe una fortuna che la merita per el so costume, per el so bon cuor, per el bel tesoro della so innocenza.

Anselmo. Signor Pantalone, voi me ne dite tante di questa vostra figliuola, che quasi quasi mi persuadete; ma perchè si è messa anch’ella intorno quel carretto da far camminare i bambini?

Pantalone. Xe sta causa le cameriere. Ella no la lo porta mai. Sentindo le cameriere che l’aveva da esser sposa, le l’ha vestia in cerchio.

Anselmo. Una sposa non ancora sposata non ha d’aver bisogno che le si allarghino le vesti prima del tempo.

Pantalone. Diseme, caro vu, cossa xe quella roba?

Anselmo. Alcune coserelle che avevo comprate per regalarle alla signora Rosaura; ma ella le ha vedute, le ha disprezzate, chiamandole grossolane e vili.

Tiritofolo. È verissimo, non ha fatto altro che disprezzarle.

Pantalone. Vedeu, Diana no l’averia sprezza quella roba.

Anselmo. Se la signora Diana non le disprezza, son galantuomo, io gliele dono.

Pantalone. Aspettè, proveremo. Diana.

Diana. Signore. (di dentro)

SCENA V.

Diana e detti.

Pantalone. Vien qua mo, fia mia.

Diana. Vengo subito. (esce) Eccomi, signor padre.

Pantalone. Varda mo ste belle cose, che te vol donar el sior Anselmo; te piasele?

Diana. Oh belle, ho care!

Anselmo. (Carina, mi piace con quel bel bocchino! Le nostre montagnare1 avrebbero detto: oh care, con tanto di bocca). (da sè, con caricatura)

Pantalone. Cossa distu de sto bel panno? El xe grossetto, ma bon.

  1. Così Zatta; Paper.: montagne.