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LA LOCANDIERA 261

SCENA IV.

Il Cavaliere e detta.

Cavaliere. (Eccola. Non ci volevo venire, e il diavolo mi ci ha strascinato). (da sè, indietro)

Mirandolina. (Eccolo, eccolo). (lo vede colla coda dell’occhio, e stira)

Cavaliere. Mirandolina?

Mirandolina. Oh signor Cavaliere! Serva umilissima. (stirando)

Cavaliere. Come state?

Mirandolina. Benissimo per servirla. (stirando senza guardarlo)

Cavaliere. Ho motivo di dolermi di voi.

Mirandolina. Perchè, signore? (guardandolo un poco)

Cavaliere. Perchè avete ricusato una piccola boccettina, che vi ho mandato.

Mirandolina. Che voleva ch’io ne facessi? (stirando)

Cavaliere. Servirvene nelle occorrenze.

Mirandolina. Per grazia del cielo, non sono soggetta agli svenimenti. Mi è accaduto oggi quello che non mi è accaduto mai più. (stirando)

Cavaliere. Cara Mirandolina... non vorrei esser io stato cagione di quel funesto accidente.

Mirandolina. E sì ho timore che ella appunto ne sia stata la causa. (stirando)

Cavaliere. Io? Davvero? (con passione)

Mirandolina. Mi ha fatto bere quel maledetto vino di Borgogna, e mi ha fatto male. (stirando con rabbia)

Cavaliere. Come? Possibile? (rimane mortificato)

Mirandolina. È così senz’altro. In camera sua non ci vengo mai più. (stirando)

Cavaliere. L’intendo. In camera mia non ci verrete più? Capisco il mistero. Sì, lo capisco. Ma veniteci, cara, che vi chiamerete contenta. (amoroso)

Mirandolina. Questo ferro è poco caldo: ehi; Fabrizio? Se l’altro ferro è caldo, portatelo. (forte verso la scena)

Cavaliere. Fatemi questa grazia, tenete questa boccetta.