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170 ATTO TERZO

Pantalone. (Se Corallina sentisse, poveretto mi!) (da sè)

Beatrice. Se vi confido una cosa, mi promettete di tenerla in voi?

Pantalone. Siora sì, ghe lo prometto da galantomo.

Beatrice. Bene, sappiate dunque...

SCENA VII.

Corallina e detti.

Corallina. Oh! perdonino... sono venuta innanzi senza badare.

Pantalone. Vegnì, vegnì, cossa voleu?

Corallina. Non voglio dar loro soggezione. Con sua licenza. (in atto di partire)

Pantalone. Vegnì qua, ve digo. (No vorria desgustarla). (da sè)

Beatrice. Se ha qualche cosa da fare, lasciate pur ch’ella vada. (a Pantalone)

Corallina. Per ora non ho da far niente. Ma partirò, per lasciar in libertà la signora Beatrice.

Beatrice. Io di voi non mi prendo soggezione veruna.

Corallina. No, signora? E pure può essere che io gliene dia.

Pantalone. (Me par de esser in t’un brutto intrigo). (da sè)

Corallina. (Ora sono in impegno). (da sè)

Beatrice. (Se podessi fidarmi di questo vecchio!) (da sè)

Corallina. Signor padrone, io non sono mai stata di quelle che abbiano voluto far dispiacere a nessuno. Vedo che la signora Beatrice mi guarda di mal occhio, onde sarà meglio che io me ne vada di questa casa.

Pantalone. Mo per cossa? Sior no. Siora Beatrice xe una persona de garbo; no la gh’ha motivo de vardarve storto. Mi son paron de sta casa. Savè quel che v’ho dito za un ora, e me maraveggio che parie cussì.

Beatrice. (È innamorato, non farò niente). (da sè)

Corallina. Vi dirò, signore: è vero che io non voglio dar dispiacere a nessuno, ma ho anche la delicatezza di non volerne soffrire.

Pantalone. Chi ve dà despiaser? De cossa ve lamenteu?