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172 ATTO TERZO


del vostro merito; non potrete però dolervi dell’amor mio e della mia fedeltà. Per voi ho sagrificato, posso dire, la più bella mia gioventù. Per voi ho lasciato tanti partiti per nuovamente accasarmi; ma tutto era dovuto alla vostra bontà. Vi lascio, signore, e vi prego dal cielo ogni bene. Vi domando perdono, se ho avuto l’ardire di lusingarmi d’essere da voi amata. Le mie speranze erano fondate sulle vostre generose espressioni; ma ora conosco l’inganno mio, confesso la mia viltà, il mio demerito; e procurerò di scancellar la mia colpa, a forza di lacrime e di sospiri. (piangendo)

Beatrice. (Che maledetta arte ha costei!) (da sè)

Pantalone. (Singhiozzando) No, cara fia... no me abbandonò; ve vôi ben... sarè mia...

Beatrice. Signor Pantalone...

Pantalone. Lassème star, siora. Corallina xe el mio cuor, le mie vissere.

Beatrice. Dunque...

Pantalone. Donca la vôi sposar.

Beatrice. Signora Corallina, me ne rallegro con lei.

Corallina. Quando sarò sposata, le risponderò.

SCENA VIII.

Lelio e detti.

Lelio. Signore, eccomi a ricevere il premio delle amorose mie pene. Sono sei ore e più ch’io ardo d’amore: è tempo ormai che mi concediate ristoro.

Pantalone. Xe sie ore che sè innamorà? Ve par assae? Mi xe più de sie anni che sospiro, e ancuo spero de consolarme.

Lelio. Consolate me ancora, per quanto vi è caro il favore del Dio bendato.

Pantalone. Adesso manderemo a chiamar la putta, e sentiremo da ela.

Lelio. Non c’è bisogno di mandarla a chiamare. Propizia sorte l’ha qui condotta.