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sima crudeltà per renderlo svergognato e pentito. L’amore da per se solo non è capace di tanto, senza l’ajuto della saviezza, ed essendo di questa bella virtù il trionfo, giustamente di Moglie Saggia il titolo le si conviene.

Tutte queste parole ho dovuto farle per cagione del mio graziosissimo Correttore1, il quale me ne farà gettare altrettante per occasione delle tre prime Scene dell’Atto secondo, da esso impiastrate in questa Commedia mia, nella edizione ridicola Bettinelliana, in carattere corsivo stampate.

Non dico che cotai Scene sieno tanto inutili quanto quella ch’egli ha voluto cacciar per forza nel Cavalier di buon gusto2, ma benissimo se ne potea far a meno. Tuttavolta averà egli ritrovato in un mio manoscritto le tre suddette Scene abbozzate, perchè lasciate da me le Maschere in libertà di farle a loro piacere, ed egli esattissimo oltremodo in questo, se non in altro, si è creduto in debito di comporle. Avrà preso lume, per farle, dai Commedianti, ma siccome a dir vero codeste tre Scenette all’improvviso fatte riuscirono sempre male, il povero galantuomo è rimasto ingannato. Ecco che io le ho scritte, come intendo che far si debbano. Non dirò già che sieno codeste mie più elegantemente distese, e di migliori frizzi e di sali più spiritosi forite, poichè mai non sarebbemi venuto in mente il novissimo lazzo, onde Arlecchino spazzando la camera dà sul capo a Brighella la scopa, prendendolo per un ragno; nè mai avrei avuto bastante spirito per far ridere, dicendo pirlar per parlare, e chiamando insalata la padrona che acconciasi alla tavoletta, perchè l’insalata si concia e si mette in tavola.

Ecco quanto evvi di buono e di raro nelle tre Scene suddette. Tutto il resto sono parole inutili affatto, se non che Brighella accenna dover dare una lettera alla Marchesa, ed Arlecchino la fa venire per prenderla.

Le Scene o non s’hanno a fare, se sono inutili, o hanno da contribuire all’intreccio, quando si fanno, o all’intenzion dell’Autore. Perchè Brighella recasse alla Marchesa una lettera del suo Padrone,

  1. Probabilmente l’ab. Pietro Chiari.
  2. Vedasi vol. V della presente ed., pp. 116-7.