Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, VIII.djvu/378

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364 ATTO SECONDO

Pantalone. Ma, caro sior Conte, per carità, no la me daga in ste debolezze. No la destruza el merito delle mie fadighe. Ho fatto tanto, grazie al ciel ghe ne son riussio. Andemo da siora Contessa, e destrighemose.

Ottavio. Marchese, andiamo.

Florindo. Vi seguo con tutto il giubbilo.

SCENA XIII.

Brighella, un Messo della Curia, e detti.

Brighella. La veda sto omo de Palazzo, el vorave darghe una carta.

Ottavio. Cosa volete?

Messo. Perdoni, illustrissimo, questo foglio viene a lei.

Ottavio. (Lo prende e legge piano.)

Florindo. Signor Pantalone, voi siete un uomo di garbo.

Pantalone. Mi no son bon da gnente. Ma per i amici me desfarave. Son amigo della pase, e dove che pratico, procuro che la ghe sia.

Florindo. Sperate dunque che tutte le dissensioni di questa casa sieno accomodate?

Pantalone. Tutto xe giusta.

Ottavio. Signor Pantalone, ecco tutto accomodato. Con questo foglio, mio nipote m’intima la divisione; mia cognata domanda la sua dote, e son chiamato a render conto della mia amministrazione.

Pantalone. Come? Coss’è sta cossa?

Ottavio. (Al messo) Si faccia subito un precetto alla contessa Beatrice ed al conte Lelio, che debbano immediatamente evacuare questo palazzo, per essere di ragione della primogenitura, che è mia.

Pantalone. No, caro sior Conte...

Ottavio. Lasciatemi stare. Tenete uno scudo; prendete l’ordine e fate l’intimazione a dovere.

Messo. Sarà immediatamente servita. (parte)