Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, X.djvu/492

Da Wikisource.
480 ATTO TERZO

Flamminia. Vi è un certo vecchietto... Per ora non posso dir niente, saprete tutto

Clarice. A proposito di vecchietto, stamane mi sono divertita assaissimo con un vecchio.

Flamminia. Chi è questi? Lo conosco io?

Clarice. Sì, lo conoscete. È il signor Pantalone.

Flamminia. Non mi maraviglio che vi siate ben divertita. È l’uomo più lepido e più gentile di questo mondo.

Clarice. Volete che ve ne racconti una bellissima?

Flamminia. La sentirò volentieri.

Clarice. Il signor Pantalone si è innamorato di me.

Flamminia. Innamorato di voi?

Clarice. Sì: che ne dite? Non è un bel pazzo? Potrebbe esser mio padre.

Flamminia. Da che l’avete voi argomentato, che sia invaghito di voi?

Clarice. Oh, da cento cose. Se l’aveste veduto! languiva, propriamente languiva. E poi me l’ha detto a chiarissime note.

Flamminia. (Pazienza! mi sarò ingannata). (da sè) Voi come avete corrisposto alle sue finezze?

Clarice. Io? Ve lo potete immaginare. Quando gli uomini passano li trent’anni, non li tratto più volentieri. Mi sono un po’ divertita. L’ho lusingato un poco il povero galantuomo; l’ho lasciato partir colla bocca dolce; ma a trattenermi di ridere ho fatto una fatica bestiale.

Flamminia. Parmi che il signor Pantalone non sia persona che meriti d’esser derisa.

Clarice. Oh, in quanto a me, non la perdonerei nemmeno a mio padre.

Flamminia. È molto che un uomo di mondo, accorto come lui, siasi lasciato burlare.

Clarice. Voleva egli far il bravo. Badava a dire che le donne non l’hanno mai innamorato, che non le stima, che non le cura. Ma io con due paroline, con un’occhiatina di quelle che ammazzano, l’ho colpito, l’ho ferito, e l’ho conquassato.