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IL VECCHIO BIZZARRO 483

Celio. In buon punto, in buon’ora lo possa dire che il cielo mi conservi.

Clarice. Sono svaniti i giramenti di testa?

Celio. Sì. (sputa)

Clarice. Il polso va bene?

Celio. Sì. Ma non mi parlate di queste cose. Nipote mia, il signor Pantalone è la mia salute. Egli mi ha guarito; in buon punto lo possa dire, e desidero d’averlo sempre al mio fianco; onde voglio assolutamente che si faccia questo matrimonio.

Flamminia. Qual matrimonio, signore?

Celio. Del signor Pantalone con mia nipote.

Clarice. Sentite? (a Flamminia)

Flamminia. E disposto il signor Pantalone?

Celio. Signora sì, è disposto. Gliel’ho detto, Clarice, e spero che si farà senz’altro.

Clarice. Sentite? (a Flamminia)

Flamminia. Me ne rallegro infinitamente.

Clarice. (Ora la scena si fa più bella). (da sè) Come gli avete detto, signor zio?

Celio. Gliel’ho detto... Non mi ricordo più le precise parole: ma contentatevi, ch’egli non è lontano.

Flamminia. (Le mie speranze sono perdute). (da sè)

SCENA V.

Argentina e detti.

Argentina. Signore, siete domandato. (a Celio)

Celio. Chi mi vuole?

Argentina. Il giovine dello speziale col solito divertimento.

Celio. Col lavativo?

Argentina. Per l’appunto.

Celio. Vengo subito.

Clarice. Ma se state bene ora: che cosa volete fare di questa sudicieria?

Celio. Sono avvezzo così. Se non lo facessi, mi ammalerei.