Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, X.djvu/517

Da Wikisource.

NOTA STORICA

Come per il giovane pantalone Collinetti, nel 1738, aveva il Goldoni creato Momolo cortesan, ribattezzato poi nella stampa l’Uomo di mondo (1757: v. vol. I della presente edizione), così per il maturo pantalone Rubini, ch’era sulla cinquantina, compose nel carnovale del ’54 il Cortesan vecchio (o il Vecchio cortesan) che nella stampa diventò il Vecchio bizzarro. Ma la prova sul teatro questa seconda volta non riuscì, principalmente, crede l’autore, per essersi smarrito d’animo il valente interprete, da troppi anni avvezzo a recitare con la maschera e all’improvviso (pref. alla comm. e cap. 23, P. II, dei Mém.es). Dalla mala sorte del Tonin Bella grazia, nel primo anno della riforma a Sant’Angelo, non si ricorda una caduta altrettanto clamorosa; per cui crebbe l’insolenza dei partigiani del Chiari. Si aggiunga che la commedia seguiva a una ripresa sul teatro di S. Luca di quella Sposa persiana che fu il grande trionfo della presente stagione; e che il pubblico aspettavasi un altro spettacolo orientale coi furori d’un’altra Ircana. L’anonimo autore delle Osservazioni critiche sopra le comm. nuove fatte dalli Sig. Gold. e Chiari in quest’a. 1754 racconta: «Ha fatto po el Goldon el Cortesan antigo — Che gera Pantalon, ma no l’à valso un figo. — Cussì me xe sta ditto, perchè mi no l’ò vista — E no i l’à replicada per esser tanto trista. — Se pol ben dir che questa del Goldon sia sta l’unica — Che gabbia dalla zente avuda la scomunica. — E me par impossibile che gnente fosse bon; — Ma che no l’abbia piasso mi son de sta opinion — Perchè questa no giera dell’altre su la riga, — E po perchè la giera robba fatta all’antiga». (G. Ortolani, Della vita e dell’arte di C. G., Ven. 1907, PP. 167-8).

Il dolore di Carlo Goldoni per la commedia precipitata traspare ancora dalla prefazione scritta più di tre anni dopo. Non so bene se in tale occasione il nobiluomo Zorzi Baffo incoraggiasse così l’abate Chiari:

     «... No ve avvilì, se un altro vu vedè

Che in sto mestier avanti xe de vu.
Che indrio col tempo tutti lassarè.
     S’in sul fiorir vu sè,
I altri de botto i gà svodà el sacchetto,
E vu ancora gavè pien el schiopetto». (cod. Cicogna 2395)

II buon Dottor veneziano cercò di fare una nobile vendetta nel Festino, col quale chiuse applaudito il carnovale; ma intanto rispose subito sorridendo ai fischi del pubblico, per mezzo d’un sonetto semi-estemporaneo forse poco noto (dal cod. cit. del Museo Correr di Venezia):

     «Grazie, popolo mio, grazie del vero

Applauso fatto al Vecchio Cortesan.
Più dei evviva e del sbatter le man
M’ho piasso i voli e el strapazzar sincero.
     Adesso sì m’insuperbisse, e spero
Aver dà nome al gusto venezian.
Delicato l’ho reso a pian a pian.
Ma no xe ancora el mio trionfo intero.