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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XI.djvu/160

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152 ATTO SECONDO


Orazio. Signore, vostro fratello è un pazzo.

Ottavio. È vero, si conosce che è tale. Ritiratevi un poco, ho da discorrere col signor capitano. (a Flamminio)

Orazio. (Sono sempre più in impegno. Maladetto amore!) (da sè)

Ottavio. Fatemi il piacere di ritirarvi. (a Flamminio)

Flamminio. State molto qui? (ad Ottavio)

Ottavio. Pochissimo.

Flamminio. Bene; dirò a mia sorella, che quando sarete andato via, potrà venire allora a parlare col signor capitano, (parte)

SCENA III.

Orazio ed Ottavio.

Orazio. (Misero me! Se n’esco con costui, non m’impiccio mai più). (da sè)

Ottavio. Signor capitano, i pazzi pur troppo, per debolezza di spirito, dicono sovente la verità. Vi prevalete della sua innocenza per un fine sospetto; e però a me dovete voi render conto di questa vostra condotta.

Orazio. Torno a ripetervi, che sono qui in cerca del signor Pantalone, per interessi che passano fra lui e me per una cambiale, per il vestiario de’ miei soldati, e per cose simili. Io non ho ardito di domandare la sorella vostra. Ma s’ella ha qualche inclinazione per me, se il signor Flamminio, mosso piuttosto dalle preghiere sue che da altro, ha procurato che io le parlassi, sono un uomo d’onore incapace d’abusarmi delle finezze di una giovane onesta, incapacissimo di oltraggiar una casa onorata, e nemmeno con il pensiero oserei di tradire l’amicizia, la fede, la delicatezza dell’onor mio.

Ottavio. Supponete voi dunque, che mia sorella possa avere dell’inclinazione per voi?

Orazio. Sì, signore: ho qualche ragione di crederlo; e vi dirò di più ancora, se nol sapete, aver io tutta la stima ed il più tenero amore verso di lei.

Ottavio. Non dite poco, signor capitano.