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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XI.djvu/190

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182 ATTO TERZO'


SCENA V.

(Sentesi in qualche distanza toccare il tamburo; indi s’avanza un Tenente di fanteria alla testa di vari soldati, che marciano in ordine militare col loro sargente e loro caporali. Avanzati che sono, ed ordinati in file, il Tenente grida ad alta voce Alto, facendo segno col bastone al tamburo, il quale s’accheta, ed i soldati si fermano. Dopo di ciò il Tenente fa diversi comandi colla regola militare ai soldati, i quali restano poi in buona ordinanza, collo schioppo in spalla.)

SCENA VI.

Un Soldato di quelli di Orazio e detti.

Soldato. (In qualche distanza fa cenno al Tenente che gli vorrebbe parlare e consegnargli una carta.)

Tenente. Accostatevi. (al soldato)

Soldato. Devo presentare questo viglietto a V. S. illustrissima.

Tenente. Chi lo manda?

Soldato. Non lo so, signore. Me l’ha dato uno ch’io non conosco.

Tenente. Siete voi di questo paese?

Soldato. No, signore, son forestiero.

Tenente. Soldato di queste truppe?

Soldato. Son soldato, non so nemmen io di chi.

Tenente. Che vuol dire?

Soldato. Favorisca di leggere.

Tenente. Quell’uniforme è compagno del nostro.

Soldato. È vero, signore.

Tenente. Di qual reggimento siete?

Soldato. D’un reggimento... Legga, signore, che qualche cosa saprà.

Tenente. Sentiamo. (apre e legge)
"Signor Offiziale. Due desertori del suo reggimento si trovano qui nascosti. Uno di essi è pronto a svelare il compagno, e di più dargli nelle mani da venti uomini belli e vestiti, se ne ha di bisogno, purchè gli sia accordata l’impunità. Il lator del presente è un onorato galantuomo. A lui è pregato