Vai al contenuto

Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XI.djvu/333

Da Wikisource.

TERENZIO 321


SCENA V.

Livia e detti.

Livia. Creusa, invan ti cerco, invan ti chiamo, e lieta

Trovoti accanto alfine del comico poeta.
Terenzio. Le donne mai non furo da noi poeti escluse:
L’estro ci dan felice tre Grazie e nove Muse.
Livia. Speme di nobil estro da una vil schiava è vana.
Creusa. Estro sublime, altero, daratti una Romana, (a Terenzio)
Livia. Parti da questo luogo. L’ago ti aspetta e il fuso.
(a Creusa)
Creusa. (Misera! il mio sospetto di falso io non accuso.)
Il cuor che non s’inganna, temi colei, mi dice,
Che ha l’arte, che ha il potere di renderti infelice).
(da sè, indi parte)

SCENA VI.

Livia e Terenzio.

Livia. (Partì alfine l’ardita).

Terenzio.   (Scoprir vo’ il di lei cuore), (da sè)
Livia. Scarso, Terenzio, rendi a tue virtute onore.
Trattar con una schiava, d’ogni rispetto indegna,
A un uom del tuo valore prudenza non insegna.
Tu mostri co’ tuoi carmi in che il dover consista,
Ma poco dall’esempio chi ti conosce acquista.
È ver, te pur fra’ lacci sorte guidò proterva,
Ma l’alma d’un uom dotto comanda, e non è serva.
Terenzio. Trattar con i più grandi, trattar con i più abietti,
Dee quel che cerca al mondo i comici soggetti:
Però dalla tua schiava, che mostra un cuor gentile,
Apprendo gli argomenti d’un animo non vile.
Livia. Non può nutrir virtudi Greca venduta in seno,
Sol d’eroine abbonda il romuleo terreno.