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TERENZIO 333
Roma te diede al mondo, e la mia patria è Atene:

Tu sei nato agli onori, Creusa alle catene.
Viltà però degli avi nell’alma non mi aggrava:
Libera in Grecia nacqui, la sorte mi fe’ schiava.
Tra’ Siculi infelici dal genitor condutta
Mirai dall’armi vostre quell’isola distrutta:
All’aquile fatali, al popolo romano,
Fra l’armi il padre mio fè resistenza invano;
Vuole il destin, che a Roma tutto s’arrenda e ceda;
Ei fu preda di morte, io d’un guerrier fui preda.
Questi a vecchio mercante hammi, crudel, venduta;
Indi a te dal mercante offerta e rivenduta.
Bella pietà finora dolce mi rese il giogo,
Le lacrime in secreto concesse per mio sfogo:
E in avvenir, signore, per tua mercede io spero
Prove goder maggiori di dolcissimo impero:
Che se scacciar dal cuore non posso i patri lari,
Almeno i dei di Roma mi rendano più cari.
Lucano. Onora i lacci tuoi l’alma città latina,
De’ popoli l’asilo, del mondo la reina;
E un senator romano, di cui cadesti in sorte,
Fa belle d’una Greca le docili ritorte.
Un lustro egli è che meco sei per mio ben venuta,
In merto ed in bellezza, come in età cresciuta;
Vedi qual io son teco. Non esser aspra e schiva.
Gratitudine è quella che gli animi ravviva.
Fammi veder che meglio la pietà mia comprendi,
E della mia pietade prove maggiori attendi.
Creusa. Fui sempre a cenni tuoi obbediente ancella.
Lucano. D’obbedienza chiedo una prova novella.
Creusa. Quale, signor?
Lucano.   Che mi ami.
Creusa.   Dal cuor nasce l’affetto.
Obbliga servitute nulla più che al rispetto.
Lucano. Dunque m’aborri, ingrata?