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e il Gustavo Vasa, tra i drammi a contraggenio, sotto il titolo di Viaggiatori ridicoli (Il Teatro It. nel s. 18°, Milano, 1876, p. 205), se pur non alludeva al melodramma giocoso. Con dolore il Nocchi (pref. alle Comm.e scelte di C. G., Fir., Le Monnier, 1857, p. XX) vede Goldoni «abbassarsi a dettare il Poeta fanatico e il Cav. Giocondo» e ricorrere «più del dovere» a facezie «anche assai grossolane». (Così pure V. Ratti, C. G. ecc.. Asti, 1874, 21). Ferd. Galanti non vi trovò «molto pregio» (C. G. ecc., Padova, 1882, p. 233). Il Rabany scrive: «Il était difficile de rendre une piece intéressante en occupant cinq actes a montrer un ridicule aussi insignifiant que celui du principal personnage. Ce que Joconde a rapporté de ses voyages ce sont surtout des recettes de cuisine . . . Tous les hótes que Joconde accueille liberalement se plaignent de mourir de faim; des scènes entières sont remplies par leurs lamentations» (C. G., Paris, 1896, p. 359). Non l’arte, sì piuttosto la satira di chi, nato ignobile, ambisce la compagnia dei nobili, vi studiò L. Falchi: qui e nel Raggiratore; ma giudicò «più ameno» il Cav. Giocondo (Intendimenti sociali di C. G., Roma, 1907, pp. 102-3). Da ultimo il De Gubernatis, dopo riferita la «esilarante» scena con cui s’apre l’azione, osserva che «per via la commedia s’arruffa ed imbroglia un poco in scene prolisse» (C. G., Firenze, 1911, pp. 309 - 313).

Questa volta almeno il giudizio riusci, può dirsi, concorde. Ci troviamo davanti a un’opera debole: artificioso l’intreccio, il dialogo povero, la farsa invece della commedia, qualche profilo o ritratto invece di caratteri scolpiti, qualche spunto felice. Ma non vi ha componimento goldoniano che non offra, oltre l’arte, materia degna di nota. Il titolo stesso dei Viaggiatori ci richiama la passione e talora la mania nel secolo decimottavo per i viaggi, che si moltiplicarono non soltanto per tutti gli oceani, ma in Europa, fra paese e paese, non ostante la spesa, l’incomodo e i pericoli. E si dettarono libri intorno all’utilità e ai danni del viaggiare, e i viaggi nel continente diventarono presto oggetto di satira. (Vedasi per l’Italia il recente volume di A. Graf, L’anglomania ecc. in It. nel s. 18.o, Torino, 1911).

Nel Raguet (1747) di Scipione Maffei, nel Viaggiatore affettato (ed. 1754) di J. A. Nelli, si rinviene qualche poco della malattia stessa dell’eroe goldoniano; e a ragione G. Caprin (C. G., Milano, 1907, p. 279) rammentò a questo proposito il cavaliere Ernold nella Pamela, ch’era presente alla memoria del nostro commediografo, poichè nel dramma per musica intitolato Il Viaggiatore ridicolo, e scritto sulla fine del ’56 per la Corte di Parma, il Goldoni modellò su quello il cavalier Gandolfo, mentre don Fabrizio ritiene in parte i lineamenti del cavalier Giocondo, e la marchesa Foriera quelli di madama Bignè.

Quest’ultima, madama di Bignè (perchè mai «piemontese»?), è, a mio vedere, il carattere più vivo della commedia; un po’ volgaruccia, ha pur nell’indole un certo che di qualche dama del Settecento veneziano, volubile, irrequieta, imperiosa, sul tipo forse di quella Caterina Sagredo Barbarigo (v. Molmenti, Storia di Ven. nella vita priv., ecc., Bergamo, III, 1908, pp. 454 e 463: madre della bellissima Contarina) che girava tutta Italia contro la volontà del marito. Vedete come si trascina dietro quel povero cognato, e don Alessandro; vedetela quando detta le leggi del serventismo al cicisbeo infedele (se. II