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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XII.djvu/408

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402 ATTO SECONDO


Lisetta. Oh signor no; non ha detto niente.

Raimondo. Come lo sapete dunque?

Lisetta. Mi hanno comandato di ritirarmi, non mi hanno proibito di stare a sentire.

Raimondo. Ecco qui la mia riputazione in pericolo.

Lisetta. Per quel che so io, eh? Felice voi, se non si sapesse di peggio. Bisogna sentire quel che dicesi di voi e di vostra moglie dal vicinato.

Raimondo. Come! che cosa si può dire di noi?

Lisetta. Orsù, in questa casa comandano che non si dica male di nessuno, ed io li voglio obbedire; e non vogliono nemmeno che siamo curiosi de’ fatti d’altri, e non ne voglio saper di più. (parte)

Raimondo. Mi hanno piantato qui arrossito e mortificato. Sperava con questa donna, che ha de’ denari, insinuarmi con buona grazia per averla amica ne’ miei bisogni; ma è selvatica al maggior segno. Spiacemi dei pendenti, spiacemi dell’anello; in qualche maniera converrà certo ricuperarli; se mia moglie li ha impegnati per cento, posso ricavarne dugento. (parte)

SCENA VI.

Anselmo e Fabrizio.

Anselmo. Non può essere, vi dico, non può essere. Costanza non è donna capace...

Fabrizio. Ma se l’ho trovata io da sola a solo col signor Raimondo, e appena mi ha veduto, si è ritirata.

Anselmo. Ma che cose mai, caro figlio, vi passeggiano pel capo? Parlerò con mia nuora. Mi comprometto di sapere la verità.

Fabrizio. Siete voi certo, che la voglia dire?

Anselmo. Se non ha mai detto una bugia in tutto il tempo che è in casa nostra.

Fabrizio. È vero, nemmeno per ischerzo si è mai sentita a dire bugia.

Anselmo. Eh, io vo vedendo da che procede il male. Quelle gioje! quelle gioje! Tanto ella che voi, compatitemi, non dove-