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Quasi quasi, il Goldoni manderebbe a far scuola in convento il suo maestro di moralità nell' arte, Giorgio Baffo. - Nelle Memorie poi, l’autore rivendica addirittura il fine morale della sua commedia: «Je fis cette pièce en Italie pour encourager les bonnes mènagères, et pour corriger les mauvaises»; e incoraggia gli autori francesi a fare altrettanto (P. II, ch. 30). Spiega poi il titolo, «qu’on diroit en bon Toscan le Donne casalinghe (et les Bonnes Mènagères en François)»; ma non ci porge il solito riassunto. «D’ailleurs le merite principal de cette pièce consiste dans le dialogue», ed è perciò intraducibile.

Non solo ai tempi del Goldoni, ma anche nell’Ottocento le Donne de casa soa goderono fortuna, a differenza delle Massere. Le troviamo, per esempio, recitate dalla Compagnia Morelli a Venezia nel 1821 (v. Gazzetta privileg. di V en., 5 maggio) e nel 1823 (ivi, 4 sett.); dalla Compagnia Reale di Modena Romagnoli e Bon a Milano, nel 1827 (sett.: v. I Teatri, giorn. dramm.", Mil.) e nel 1828 (dic.); e ancora a Venezia dalla Compagnia di Luigi Duse, dopo il ’46 (Rasi, I comici italiani, vol. I, p. 802), e nel 1851 a Torino, dalla Compagnia Reale Sarda (Costetti, La Comp. R. S. ecc., Milano, 1893, p. 193). Troppe cose dovrei qui ripetere, che si possono leggere nella Nota storica delle Massere: però tiriamo innanzi e ascoltiamo alcuni giudizi espressi dai critici. Molti, come il Paravia, il Molmenti, il Masi, il Caprin e Maria Ortiz, ricordarono con onore le Donne de casa soa accanto alle Massere; e vedemmo già qualche citazione. Anche il buon Meneghezzi le collocò insieme con le Morbinose fra i «capi d’opera», ma aggiunse il voto malvagio, che «qualche felice penna italiana» le riducesse «a facile ed elegante prosa» (Della vita e delle opere di C. G. ecc., Milano, 1827, p. 170). Quanto meglio, salvo le scorrezioni, Domenico Gavi, il quale accolse la presente commedia e il Campiello fra le tredici più belle del Goldoni- «Il veneziano dialetto vi è adoperato con tutta la grazia e maestria: svelto e rapido lo stile: il verso è alessandrino, facile, e a suo talento pieghevole e pronto; le rime spontanee, svariate e felici: l'intreccio piano e spedito; i caratteri delle donne gradatamente diversi, e insieme uniformi nell’interesse che hanno e sottilità delle faccende di casa; usa di molto felici e begli artifizii per condurre i discorsi in giro su tutte le cose di famiglia, economia, lavoro, occupazione, ogni minimo vantaggio e profitto. Le scene una da altra provengono spontaneamente; un nodo altro porge: i teneri innocenti amori di Tonino e di Checca, e il carattere d’Isidoro, aspro Dalmata e buono, formano episodio, viluppo e scioglimento a un medesimo tempo, lasciando luogo alle più care piacevolezze. L’atto quarto con gran giudizio e diletto finisce; il quinto è un po’ voto, e per riempirlo commette il fallo che Angiola muti carattere, qual è di spiritosa, disinvolta e fedele alla data parola, in volubile, scioccherella e mancatrice di fede: e si scorge in gran pena e sudore il poeta; nondimeno sa poi trarne vantaggioso partito e bel giuoco, e termina bene; ed è commedia bella, bella e poi bella» (Della vita di C. G. ecc., Milano, 1826, pp. 163-3). - Del sudare di Goldoni non ci siamo accorti, nè del mutato carattere di Anzola; tuttavia ci piace l’entusiasmo dell’umile scrittore.

La buona morale vi ammirò Ferd. Galanti (C. G. ecc., Padova, 1882, p. 235: «...Tipi e costumi semplici, ritratti colla semplice favella del buon popolo veneziano, avvivata da continue arguzie, da proverbii, da osservazioni sen-