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178 ATTO TERZO


maneghetti, tegnili; sappiè per mia gloria, e per vostra mortificazion, che sti maneghetti i xe stadi tolti da donna Metilde; che ela li ha donadi al sior Conte; che sior Conte m’ha ordenà de darveli a vu, perchè vu i mette dove i giera; e mi, servindome de sta bona occasion, v’ho restituido la burla, ho recuperà el mio scudo, e vi son profondissimo servitor. (parte)

Jacopina. Ah galeottaccio! me l’ha fatta... Pazienza! Sento gente. Vado a riporli. Ma no! dirò d’averli trovati. Brava la signorina: li ha presi per regalare l’amante, ed io poveraccia... quante volte così succede! Viene rubato in casa da chi meno si crede, e poi s’incolpa la povera servitù. (parte)

SCENA VIII.

Altra camera.

Donna Claudia ed il Conte Nestore.

Claudia. Credetemi, son disperata.

Conte. Eppure il cuore mi dice, che le gioje vostre non sieno state rubate.

Claudia. Ma nel mio burrò non ci sono.

Conte. Credo benissimo che non ci sieno.

Claudia. Dunque mi sono state rubate.

Conte. Non potrebbono essere, per esempio, in un altro luogo sicuro?

Claudia. Dove mai?

Conte. Se fossero per accidente sul Monte pubblico, non sarebbono in salvo?

Claudia. Lo sapete anche voi dunque, che sono al Monte?

Conte. Parmi averlo sentito dire.

Claudia. Ma mio marito non ne sa niente.

Conte. Può essere. (Se l’ha egli stesso impegnate). (da sè)

Claudia. Ecco, mi sono state rubate ed impegnate sul Monte.

Conte. Chi mai può aver commesso un tal furto?

Claudia. La Jacopina.

Conte. Dov’è la Jacopina? Interroghiamola un poco.