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I MORBINOSI 377

SCENA V.

Arriva una peota, dalla quale sbarceno vari Sonatori
coi loro strumenti, cioè violini, violoni e corni da caccia.

Andreetta. Ben venuti, patroni.

Sonatori.   Patroni reveriti.
Giacornetto. Animo, che deboto credo che siemo uniti.
Sonatori. Semo qua per servirle.
Felippo.   Andeve a despoggiar.
Andreetta. Andè desuso in portago, e principiè a sonar.
Giacometto. E meneghe de schena.
Andreetta.   E ai corni deghe fià.
Felippo. Non v’indubitè gnente, dal vin ghe ne sarà.
Sonatori. Li avemo sta matina lustrai con dela gripola.1
Subito, andemo a farghe una sonada in tripola.a
(partono i sonatori)
Andreetta. Mi credo che deboto saremo più de cento.
Cossa stemio a far qua? Voleu che andemo drento?
Giacometto. Andemo pur, mi vegno, dove che me menè
Lelio. Andiamo. (incamminandosi)
Ottavio.   Io son con voi. (a Lelio, seguitandolo)
Lelio.   Perchè venir con me?
Non potete andar solo? tant’altri non vi sono?
Statemi da lontano, va lo domando in dono.
Ottavio. Cosa dite, signori? da ridere mi viene.
Ei non mi può vedere, ed io gli voglio bene.
Lelio. Non vi voglio dappresso; l’ho detto, e lo ridico.
Del ben che mi volete, non me n’importa un fico.
Voi andate al casino; io vado in altro loco.
Fino all’ora del pranzo vo’ divertirmi un poco. (parte)
Ottavio. È bellissima in vero, pare che siam nemici,
E pur ve l’assicuro, che siam due buoni amici.

  1. Parla de’ corni da caccia.
  1. Tripolo: vol. XII, 470. Vedasi C. Musalli, C. Goldoni e il vocabolo veneziano, Ven. 1913, p. 31.