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258 ATTO QUARTO

Alì. Non star brava?

Tognina. Che brava? È un’ignorantaccia, che non sa nè la musica, nè l’azione.

Annina. Sentirà, sentirà; scommetto che sarà obbligato a mandarla via dopo quattro giorni.

Alì. Ma Conte no saver?

Tognina. Eh, il signor Conte la protegge, la mette in grazia, e corbella il signor impresario, perchè è di lei innamorato.

Annina. Si vede apertamente; e per causa di questa passione ha fatto a noi un’ingiustizia.

Alì. (Star possibile, che voler Conte tradir?)

Lasca. Questa è fatta. Venite, signore, se volete, a sottoscrivere anche voi. (forte alle donne, stando al tavolino)

Tognina. io, se facessi da prima donna, io potrei fare la sua fortuna. (ad Alì, e va al tavolino)

Annina. Ella farebbe de’ gran quattrini, se si fidasse di me. (ad Alì, e va al tavolino)

Alì. (Pensa, passeggia, smania, si liscia i mostacchi, batte i piedi e mostra la sua inquietudine.)

Lucrezia. Che cosa ha, signor Alì, che mi pare turbato?

Alì. Non saper, aver dubbio; non conoscer ben malizia italiana, ma dubitar, e quasi pentir d’aver fatto quel che aver fatto.

Lucrezia. Perchè?

Alì. Perchè pagar per aver gente bona, e dubitar che musica Smirne deventar cattiva.

Lucrezia. Se parla per quelle due cantarine, lo compatisco. In materia di musica non sanno quello che si facciano, mancano di fondamenti; sono così cattive, che non trovano recite neè meno in tempo di carnovale.

Alì. Star compagne di te.

Lucrezia. Le domando perdono, sentirà alle Smirne il mio sapere e la mia bravura.

Alì. Mi non aver più testa.

Lasca. Ecco qui le scritture formate e sottoscritte. (vuol dare le scritture ad Alì.)