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LA GUERRA 415


e risparmiatemi il crudo affanno di sentirmi vantare in faccia il vostro barbaro ed inumano coraggio.

Faustino. Calmate, o cara, gli sdegni vostri; non m’ingiuriate, ch’io non lo merito. Pur troppo le vostre lagrime e i vostri amari trasporti hanno avvilito la mia costanza, e più non riconosco me stesso. So che vi amo, ma so altresì che un uomo vile e codardo degno non può essere dell’amor vostro. Ma ho un inimico a fronte, che interessa le vostre cure, e non posso essere valoroso senza comparirvi crudele. Decidete voi, donna Florida, del mio destino. Piace a voi ch’io mi tolga la spada dal fianco, che la depositi a’ piedi del generale, che sottoscriva io medesimo il mio disonore, la mia viltà, e che mi esponga alle mormorazioni del campo, e senza poter rispondere agl’insultanti, soffrir io deggia i rimproveri, gli scherni, le derisioni? Mirate meglio lo stato mio; riflettete a quell’onorato carattere che mi fregia, compatite le dolorose mie circostanze, e se l’impegno, in che sono, non può meritare l’affetto vostro, sia degno almeno il mio cuore di pietà, di perdono. Sì, cara, da voi lo spero, e a’ vostri piedi con tenerezza e con fiducia lo chiedo. (s’inginocchia)

Florida. Oh dei! alzatevi.

Faustino. Perdonatemi.

Florida. Alzatevi per carità.

SCENA III.

Don Egidio e detti.

Egidio. Olà, che fate voi ai piedi di mia figliuola?

Faustino. (S’alza confuso.)

Florida. Oh adorato mio genitore!

Egidio. Tacete. Rendami conto quest’uffiziale nemico, con qual animo gettossi a’ piedi di una mia figlia.

Faustino. Signore, per darle l’ultimo addio.

Egidio. E dove siete voi incamminato?