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GL'INNAMORATI 35

SCENA IX.

Fulgenzio e detti.

Fulgenzio. (Una parola). (a Ridolfo, chiamandolo a parte, con ansietà)

Ridolfo. (Non l’ho ancora potuta vedere). (piano a Fulgenzio)

Fulgenzio. (Non le avete parlato?)

Ridolfo. (No, vi dico).

Fulgenzio. (Non sa niente la signora Eugenia di quello che vi avevo raccomandato?)

Ridolfo. (Ma se non ho veduto nè lei, nè la sorella).

Fulgenzio. (Lisetta è informata di nulla?)

Ridolfo. (Sì, qualche cosa le ho detto).

Fulgenzio. Caro amico, compatitemi per carità. Dopo che da me partiste, mi sono sentito gelare il sangue; sarei caduto per terra, se il servitore non mi sosteneva. Ah, quell’indegno dei servidore è stato causa di tutto. La povera Eugenia è gelosa, e l’eccesso della sua gelosia è partorito da un eccesso d’amore. Buon per me, che non avete parlato. Lisetta, per amor del cielo, non dite niente alla vostra padrona. Tenete queste poche monete, godetele per amor mio. E voi, Ridolfo amatissimo, perdonate le mie debolezze, e ricevete le mie scuse in questo tenero sincero abbraccio.

Lisetta. (Mi pareva impossibile, che non avesse ad esser così).

Ridolfo. Amico, vi compatisco, ma non mi mettete più in tali impegni.

Fulgenzio. Avete ragione. Ringraziamo il cielo, che è andata bene. Lisetta, dov’è la signora Eugenia?

Lisetta. E di là che si veste. (Non gli dico niente del forastiere).

Fulgenzio. Se volesse favorir di venire.

Lisetta. Glielo dirò, signore. (in atto di partire)

Fulgenzio. Ehi; è in collera?

Lisetta. Non mi pare.

Fulgenzio. Via, chiamatela.

Lisetta. (Oh, questi si amano daddovero!) (parte)