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LE INQUIETUDINI DI ZELINDA 227

Avvocato. Certo, il signor don Roberto ha reso giustizia alle qualità amabili di questa buona figliuola. (s’accosta)

Zelinda. La ringrazio delle sue cortesi espressioni. (si ritira un poco)

Lindoro. È compito il signor avvocato. (dissimulando la pena)

Avvocato. Povera figlia! So la vostra nascita, so le vostre disgrazie, e sono contentissimo di vedervi ora star bene. (s’accosta ancora più)

Zelinda. Obbligatissima alle sue finezze. (si ritira, ed osserva Lindoro)

Lindoro. (Ho promesso di non esser più geloso). (da sè, e si ritira)

Zelinda. (Mi pare che Lindoro ci patisca). (da sè, consolandosi)

Avvocato. Figliuola mia, torno a dirvi, mi consolo del bene che v’ha lasciato il signor don Roberto, ma appunto per l’interesse ch’io prendo a vostro vantaggio, deggio avvertirvi che il testamento ha qualche difetto, che v’è qualche cosa a temere, e sono venuto espressamente per parlare con voi. (a Zelinda)

Lindoro. (Perchè piuttosto con lei, che con me?) (da sè)

Zelinda. Signore, io non ho cognizione di questi affari. Parlate con mio marito.

Avvocato. Parlerò a tutti due, ma siccome voi siete quella a di cui contemplazione il signor don Roberto ha lasciato questi legati... credo che il signor Lindoro non s’avrà per male ch’io abbia introdotto il discorso con voi. (a Zelinda, guardando anche Lindoro)

Lindoro. Oh non signore. Mia moglie ha talento bastante, e la prego anzi di continuare il ragionamento con lei. (Guai a me s’io dicessi diversamente! Zelinda forse se ne offenderebbe). (da sè)

Avvocato. Sappiate dunque Zelinda... (accostandosi a lei)

Zelinda. Signore, scusatemi, io non voglio ascoltar niente senza la presenza di mio marito.

Lindoro. (Ecco, mi crede ancora geloso). (da sè)

Avvocato. Accostatevi dunque, ed ascoltate voi pure. (a Lindoro)

Lindoro. No, certo. Parli con lei: non ci voglio entrare. (si ritira indietro, e passeggia)

Zelinda. (Mi fa una rabbia che non lo posso soffrire). (da sè)