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ROSMONDA 171
Per serbarle degli avi il fregio antico;

Non volerlo oscurar con un castigo
Che me ancora comprenda.
Germondo.   A' merti tuoi
Do la vita d’Alvida. Al patrio cielo
Guidala tosto e il temerario ciglio
Più non ardisca di fissarmi in volto.
Cratero. Oh di regia clemenza esempio raro!
Alvida. Ahi, sentenza più ria di morte stessa!
Sorte iniqua! empi Dei!... Che Dei? Che sorte?
Io feci il mio destino; a me s’aspetta
Di mia mano punirmi. Il don funesto
Che di vita, Germondo, a me concedi,
Poco mi gioverà. Con questa mano
Che non seppe svenar due rei nemici,
Svenerò questo sen; passerò un core
Ch’è l’oggetto maggior degli odi miei.
(parte fra guardie

SCENA IV.

Germondo, Cratero, guardie; poi Alerico fra’ custodi, preceduto dal ministro della sua morte.

Cratero. Misera umanità! Ma il suon funesto

Dei lugubri oricalchi il re ci addita
Condotto a morte.
Germondo.   (Se il mio cuor vedessi,
Sventurato Alerico! Ah, si richiami
Lo sdegno al volto; ad infierir m’insegni
Di tanti rei lo scellerato stuolo!) (da sè
Cratero. Infelice monarca! ove ti guida
Il feroce tuo sdegno? (Alerico s’avanza
Germondo.   Alfin sei giunto,
Orgoglioso Alerico, al punto estremo.
Osserva in quella spada il tuo supplizio;
Il carnefice tuo rimira in volto.