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226 ATTO SECONDO
Oronta. Sin che il Re cacciator scorre le selve;

Io qui stanca l’attendo, ov’ei m’impose. (a Roberto
Roberto. Il tuo breve soggiorno illustra al pari
D’ogni reggia superba, il bosco e il prato.
Oronta. Quivi lasciami sola, e dove suona
Di latrati e di gridi il monte e il piano,
Tu ritorna, o Roberto, al Re mio sposo.
Roberto. Perchè deggio lasciarti? il Re medesmo
Teco venir m’impose.
Oronta.   Ei non comprende
Qual sia il nostro periglio.
Roberto.   Io non pavento
Punto dinanzi a te. So che non deggio
Sperar pietà, nè la pretendo; io godo
Se di amante non più, di servo almeno
Teco il nome serbar, e benchè siamo
Soli, in parte rimota, io non ardisco
Volgere al tuo bel viso un solo sguardo,
Che modesto non sia.
Oronta.   Nel seno mio
Non v’è tanta virtù. Parti, o Roberto.
Roberto. V’è forse nel tuo cor qualche scintilla
Del primo foco? Ah se ciò fosse, anch’io...
Oronta. Rammentati chi son.
Roberto.   Cangiasti il grado,
Ma l’effìgie non già. Sei quella stessa,
Mia bellissima Oronta.
Oronta.   Olà, sì tosto
La modestia scordasti?
Roberto.   Oh Dio, perdona
L’uso del labbro in me; sperai più forte
Il mio valor, ma veggo a mio rossore,
Che in faccia a te perdo in un punto solo
La ragione e il dover; perdo me stesso. (parte
Oronta. Sola, se ben tu parti, idolo mio,