Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1926, XXIII.djvu/94

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Giustiniano.   Donna superba,

Se alle genti future il tuo delitto
Noto sarà, vo’ ancor che la tua pena
Rimanga eterna, e sia d’esempio altrui.

SCENA VII.

Narsete e detti.

Giustiniano. Ecco il fulmin del ciel che giusto cade1

Sul mio capo crudel. Ecco la pena
Dell’ingiustizia mia. Sei, Belisario,
Vendicato abbastanza; e se tu gli occhi
Perdesti, io perderò la vita e il trono.
Più non v’è chi m’assista o mi difenda.
Scellerata Teodora, ancor mi resta
Tanto spazio d’imperio, onde alla morte
Ti possa condannar.
Belisario.   Frena, signore,
Frena gl’impeti tuoi. Benchè sia cieco,
Vive ancor Belisario, e puote ancora
Per lo Cesare suo sparger il sangue.
Deh! permetti che tosto io sia condotto
Alle logge imperiali. Io già non temo
Le spade di color che tante volte
Obbediro al mio cenno. I tuoi nemici
Paventeran la mia presenza, e alcuno
De’ tuoi non vi sarà che me non segua.
Antonia. Oh valor inaudito!
Giustiniano.   Ah! che il soccorso
Tardo tem’io.
Belisario.   Non dubitar, già il cielo
Certa vittoria mi predice al core.
Narsete, il braccio tuo siami di scorta.

  1. Così il testo dell’ed. Zatta. Alle parole di Giustiniano sembra che devano precedere alcune parole di Narsete.