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ENEA NEL LAZIO 309
Spinto dal lido ad aiutare i nostri

Combattuti dal mar, parlarne intesi.
So che la suora di Didon, fuggita
Dai furori di Jarba, agil naviglio
Scelse opportuno, e con un vecchio unita,
Dopo mille perigli al Lazio è giunta.
Lavinia. Sai più?
Acate.   Non più.
Lavinia.   Sai fino ad ora il meno.
Ma in brevissimi accenti or io tel narro.
Fu Selene rival della germana;
Amò in Africa Enea. L’amor converse
In pensieri di sdegno e di vendetta.
Io placarla tentai. La mia pietade
Ebbe alfin la vittoria, e più non brama,
Nè agli affetti di Enea, nè al sangue aspira.
Darle stato convien. Ch’errante vada
Vergine illustre, e attribuisca i danni
Del suo fiero destino al Troian duce,
L’onor d’Enea non acconsente e il mio.
Resta al Lazio Selene. Io stessa offersi
Alla misera donna albergo in Corte,
E soffrirò fin che altra via si appiani,
Un periglio vicin. Sta il mio periglio
Nel timor che rinnovi i primi affetti,
E scordatasi un dì dei benefizi,
Mi divenga rival l’amica istessa.
Acate. Lodo la tua pietà; ma deh! perdona:
Non fu sano consiglio offrirle albergo
Al tuo sposo vicin.
Lavinia.   Nè il cor mi soffre
Giovane sola, in forastier paese,
Mandar raminga a mendicar asilo.
Acate. La virtù dunque che a pietà ti sprona,
I rei sospetti a dileguar t’insegni.