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54 ATTO TERZO

SCENA III.

Argenide e Cosimina.

Cosimina. Molto meno bastava per contentar quel Nero.

Argenide. Calsemi ad ogni prezzo veder quel menzognero.
Avidi gli Africani sono dell’oro, il sai.
Cosimina. Nel riveder Lisauro, cosa farete mai?
Argenide. Nol so, mille pensieri ho nella mente a un tratto,
Nè prevedere io posso quale abbracciar sul fatto.
Se al tradimento io penso, m’arde di sdegno il core;
Se la speranza ascolto, vuol lusingarmi amore.
Temo il rigor soverchio, temo la mia pietade,
Non so quale mi possa giovar delle due strade:
Chè la soverchia asprezza farmi potria del danno,
E la pietade istessa può favorir l’inganno.
Odimi, Cosimina, vedi tu pria l’ingrato,
Scopri se intieramente ha l’amor mio scordato.
Cerca dai labbri suoi, mira in quel volto attenta,
Se lusingarmi io posso che il traditor si penta.
Tentalo in questa guisa, fingi ch’io sia smarrita,
Fa che da lui si dubiti, ch’io più rimanga in vita;
E nel suo volto i segni attentamente osserva,
Se al mio destin si scuote quell’anima proterva.
Se ti par che pietoso il di lui cor si renda,
Fa che di rivedermi dolce desio l’accenda;
Digli che di mia sorte speme rimane ancora,
Che di me nuova al lido giunger potrebbe or ora.
E se ridente il vedi, e se mi brama in vita,
Muovi veloce il passo, e il mio destin mi addita.
Cosimina. E se di voi non cura?
Argenide.   Ah se spietato ha il seno,
Recami per pietade un ferro od un veleno.
E se di tali aiuti privami l’empia sorte,
Un’alma disperata sa procacciar la morte.