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Garibaldina 29

casa. Chi ha detto “Roma o morte„ si è dannato per sempre, in questa vita e nell’altra.

Bisognava tacere e adorare in silenzio. E venne il ’70, vennero i giovani balenanti. E in questa casa, tra zio e nipote, correva il più stridulo contrasto e il più tacito disaccordo di sentimenti.

L’una esultava e adorava, l’altro esecrava e malediva. Povero zio! A tavola lo vedevo leggere le notizie con volto di giorno in giorno più corrucciato. Ed io godevo del suo rammarico! Si è crudeli a vent’anni!

Ma il destino fu per quel sant’uomo più crudele di me. Venne ad abitare al primo piano una famiglia siciliana, ricchi mercanti d’olio e d’agrumi, e poco dopo venne un giovanotto che mi colpì subito per gli occhi nerissimi e i denti bianchissimi e una cert’aria nei capelli e nella barba, nella figura e nel passo marziale che mi pareva di riconoscere, d’aver già visto altra volta, in sogno forse, ma visto certo. Tanto che quando la cuoca mi annunziò tremando: abbiamo qui sopra una famiglia di eretici; quel giovanotto è un Garibaldino: uno dei dannati di Porta Pia — io esclamai esultando: Un Garibaldino! L’avrei giurato!

E da quel giorno mi parve di vivere in una ballata del Prati.