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316 Turandot

     Ben ti scorgo, agitato. Io vo’ vederti
     Ilare in volto; più non dei temere.
     Oggi hanno fin le tue sventure. Io tengo
     Secreti in sen di giubilo, e di pace.
     Mia figlia è tua consorte. Tre ambasciate
     Ebbi sin’or da lei. Calde preghiere
     Spedì reiterate, ond’io volessi
     Dispensarla da esporsi nel Divano,
     E dalle nozze ancor. Vedi, se devi
     Rassicurarti, e intrepido aspettarla.
Pant. Certo, Altezza. Mi in persona son sta do
     volte a recever i comandi della Principessa alle
     porte del Serraglio. Me son vestì in pressa, e
     son corso. Gera un agerin freddo, che me trema
     ancora la barba. Ma gnente. Confesso, che ho
     abuo un gran spasso a vederla desperada, e
     pensando alla allegrezza, che avemo da aver.
Tart. Io ci sono stato a tredici ore. Cominciava
     appunto a spuntar l’alba. M’ha tenuto mezz’ora
     a pregarmi. Tra ’l freddo e la rabbia,
     credo di averle detto delle bestialità. (a parte)
     L’averei sculacciata.
Alt. Vedi, come ritarda? Ho già spedite
     Commession risolute, e vo’, che venga
     A forza nel Divan. S’ella ricusa,
     Dissi, che a forza ella sia quì condotta.
     Forte ragione ho di mostrarle sdegno.
     Eccola, e mesta a comparir la veggio.
     Soffra il rossor, ch’io volli torle invano.
     Figlio, t’allegra pur.