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parte seconda - capitolo xviii 351

innocenza della comare. Seguiva a farle le mie domestiche visite e a darle la mia assistenza; aveva preso ciò per costume di conversazione, e mi divertivano i due figliuoletti miei figliocci, invero trattati con qualche inumanitá dall’umore bilioso della madre, che tentava io invano di raddolcire.

Usava io tuttavia qualche attenzione sui passi, sulla condotta e sul costume di quella giovine per conto mio. Scorgeva in lei tanta ambizione, tanto amor proprio, tanta boria, tante occhiate in alcuni palchetti mentr’ella recitava, e tanti attucci che mi pareva impossibile che una scena improvvisa non dovesse porre un giorno a repentaglio la mia famigliare amicizia e rovesciare tutti gli edifizi da me fatti nel corso degli anni anteriori in vantaggio del di lei interesse, della di lei professione, del di lei costume e della di lei buona fama.

È per ciò ch’io le diceva con frequenza: — Io vi compiango leggendo nel vostro interno. De’ cattivi principi d’educazione hanno guasto l’animo vostro. Siete intrinsecamente inferma e non guaribile dalla cattiveria. Dalle vostre inclinazioni deve scoppiare un giorno un fulmine di vergognosa solennitá, che mi faccia tardi pentire d’esservi stato amico.

A queste franche parole mie che punto internamente non le piacevano, ella s’incantava guardandomi, e rispondeva soltanto con questi due punti, uno ammirativo e l’altro interrogativo: — È vero! Cred’Ella cosí, signor compare?