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lo averei giudicato mai secretario del grave senato veneto. — L’ho però udito nominare — seguii — per uomo di talento e di spirito.

— Egli ha una gran stima di lei — disse la Ricci. — Sono obbligato a quel signore ch’egli abbia per me un sentimento ch’io non merito — rispos’io. — Lo credo un uomo pulito — diss’ella — e lo credo un uomo d’onore. — Quanto a me — rispos’io — non ho niente al contrario, quando non si volesse attribuirgli a colpa il concetto ch’egli ha d’essere un famoso passeggero seduttore di femmine, guastatore di cervelli muliebri e abbandonato a quella che oggi è chiamata galanteria ed a cui io do un altro titolo.

Queste veritá, note all’universale e note anche ad alcuni rispettabili tribunali, ch’io dissi alla Ricci, non furono che per dare un avvertimento a un’amica e mia comare, e avvertimento ch’io conobbi dopo assai tardo.

Volli raddolcire il mio discorso, aggiungendo: — Non nego però che ci sieno degli estrinseci nelle persone, che facciano fare de’ falsi giudizi, da’ quali giudizi è prudenza il guardarsi, massime da chi aspira ad impieghi. Dal canto mio, siccome non conosco intrinsecamente il signor Gratarol e siccome non mi prendo briga sulle altrui direzioni, né affermo né contraddico a ciò che suona la pubblica fama di quel signore.

— Egli deve andare residente a Napoli — disse la Ricci, — ed io coltivo di andare in un teatro di quella metropoli. Potrei ricevere da lui de’ gran favori.

— Come! — rispos’io — non cercate dunque piú di passare nel teatro di Parigi? — Cerco — diss’ella — di proccurarmi delle fortune per qualche via. — Servitevi pure — rispos’io troncando quel discorso e rivolgendo il parlare sopra ad altri argomenti.

Vidi benissimo che la Ricci aveva incontrata della amicizia col signor Gratarol nel tempo che le mie febbri e la mia lunga convalescenza impedirono le mie solite visite, e vidi che l’introdotto di lei discorso nasceva da un suo ricordarsi de’ miei risoluti ricordi che, s’ella avesse accettate familiarmente una tal