Pagina:Grammatica filosofica della lingua italiana.djvu/165

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i38 Qualche volta a caosare il senso ambiguo, si fa uso di suo in luogo di loro^ pur che il possessivo si riferisca allo agente* Il primo suo del primo esempio appartiene air a- gente arcieri; il secondo suo corrisponde con i^ostri altro a* gente; mentre che se avesse lo scrittore detto // loro^ avreb- be prodotto confusione. Anzi dirò che, quando il possessi* vo si riferisce all’agente del verbo, come appare anche dal secondo e terzo esempio, sarebbe più giusto Tusar sempre suo^ per distinguerlo da quello che corrisponde con una per- sona tei*za, come il loro in fine della frase del primo esem- pio; perchè, non ci essendo, come già accennai, il posses- sivo della terza persona del plurale, e in quella vece ponen- dosi loro, pronome, il quale per sua natura non può corri- spondere con r agente, rimarrebbe quindi tolta ogni ambi- guità; ma si schifa anche 52/0 per plurale, pur che con chia- rezza di senso si possa adoperar loro, per esser P orecchio troppo uso ad averlo per singolare.

• Stia ancor egli in su le sirs eh* i* sto in su le mie. 

F, a. E forse che non né pieno tutto f^terbo, e cheognun non dice la sue ? F. Se ella non ne starà cheta, ella po- trà auer delle sax, B. Chi francamente e rettamente vuol poter far uso di una espressione convien che sappia dar ragione del concet- to che quella contiene. Ai possessivi sue e mie del primo esempio v* è sottinteso il nome difese, cioè le difese dello I ingegno, della avvedutezza, dèlia scaltrezza, secondo le cir- costanze; usandosi questo dire per, stare accorto nel parla- , re che altri non ti pigli nelle parole; o, nel consorzio eoo j alcuno, che tu non rimanga ingannato 9 sorpreso in che che sia. Nel secondo caso v* è inteso storia o novella^ nel ter- zo, scopate o botte, o cosa simile. j