Pagina:Grammatica filosofica della lingua italiana.djvu/18

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versazione e nel consorzio degli altri, se non quello di che spogliar si deve scrivendo. Quindi il bisogno tanto più pressante d’una grammatica che assicuri la lingua sopra una pura e solida base, e che escluda da quella tutto ciò che la difforma.

Quanto poi sia falso quel che alcuni hanno detto che, con sbandirne i gallicismi, io renda povera la lingua, avrò occasione più volte di dimostrarlo ad evidenza nel corso di quest’opera, e proverò che anzi, col seguitare lo stil francese, s’era resa la lingua, non che povera, ma poverissima, abbandonando un numero infinito di vocaboli e bei modi di dire che l’ignoranza chiamava disusati; e io facendo apparire lor forza, lor virtù e bellezza, gli ho rimessi in vigore. E la cosa è chiara; col troppo leggere i francesi, gl’Italiani, che da prima non se ne guardavano, ma più presto cercavano d’imitarli, introdussero a poco a poco vocaboli e modi francesi nel loro stile; e quei che vennero poi in seguito, leggendo i francesi e questi loro imitatori, si assuefacevano ad una lingua tutto differente dal vero italiano; e se per sorte si abbattevano a por l’occhio in un classico, non trovando più lor solita pastura, chiamavano antico e disusato quello che essi nè sentivano nè conoscevano. In due mie grammatiche, fatte per uso degli inglesi che studian l’italiano, sono 24 esercitazioni in una, e 44 nell'altra; tutti gli esempj tratti da’ classici, e li più dal Decamerone; ora, mi bastò far scrivere quelle medesime esercitazioni ad alcuni miei scolari italiani che imparan l’inglese, di quelli che non son privi d'ingegno, per far sì che