Pagina:Grammatica filosofica della lingua italiana.djvu/454

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427 figlia già maritata, e rimasta vedova, potesse esser giocane pià^ che a donna non si richiedea. Viene in seguito l’epiteto di gagliarda*^ ma in qual senso dovremo noi prendere questa parola, nel senso proprio o nel figurato? „ Chi vuol conoscere il resto di questa sua ciancia, Io potrà veder da se; a me basta ben rispondere al citato squarcio. Dunque il primo errore del Boccaccio, nel predetto passo, è il dare al lettore unMdea della donna di cui si accinge a parlare, con una iperbole! Qual disegno e qual colo^ re le avea a dare in prosa, se non descriverla amplificando? Vedi riperbole dello stesso autore posta nel cap. della Ortografia, e tienti poi che non t*adiri con chi si sforza d’oscurare la fama sua! L’iperbole è triviale quando si fa triviale. In secondo luogo io non so per qual necessità avesse il Boccaccio a ripetere la parola femmina^ e quale errore abbia commesso nello scrivere donna la seconda volta, quan« tunque i due nomi significhin la stessa cosa; poichè chiunque scrive cerca di fuggire, quando non si muti il senso, la ripetizione delle medesime parole. Questo saccente poi, che ci fa sapere d*avere spesi trent*anni almeno nello studio, mostra ora che non intenda cheT espressione, quanto al^ tra femmina fosse mai^ risponde a bellissima’^ e l’altra, pia che a donna non si richiedea^ si riferisce agli aggettivi. rarìa t gagliarda^ e non a glossine; e quando anche il critico ci volesse trovar equivoco, la congiunzione e fra glossine e ga-» gliarda basterebbe a torgli questo pretesto. Ma se egli intende il vero senso delle parole, e lo vuol far parere ambi-^ guo, anzi fermamente contrario a quel che gli diede l’autore, ognuno si può accorgere qual fede meritin le sue censure; sì che in questo caso è ignoranza o malizia* Finalmen