Pagina:Grammatica filosofica della lingua italiana.djvu/487

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46o be cbe gli avesse gi2i nomiDati; e quando hai detto lingua a tutti comune, bai espresso l’idea pia di comunicazione • Ma qui sta il grande inganno, cbe si vorrebbe poter rendere vocabolo per vocabolo dal francese, e locuzione per locuzio« ne, non considerando che allora sarieno le medesime lìngue, solo pronunziate diversamente. Questa nostra lingua ha cotal privilegio cbe, per non potersi scrivere come quella che si parla, o per iscostarsene d^assai, riesce tanto più leggiadra quando è ben scritta* Farò poi vedere quanti bei modi e vocaboli si erano trascurati o espulsi per dar luogo ai forestieri. DELLO STILS DELL* ALFIERI E DEL MetASTASÌO Mediocribus esse poetis Non homines, non Dii, non concessere colwnnce^ Come che io avessi fatto cenno in sul principio di que* sto capitolo di voler dire qualche cosa dello stile o non sti* le di questi due poeti e lor pari, io m^era quasi rimosso dal mandare ad effetto il mio pensiero, per non andare incontro alla quasi generale opinione che se gli tiene come Dei; se non fosse che, essendomi abbattuto di vedere in fronte alle tragedie delfAifieri, in una edizione fatta io Parigi nel 1788, una lettera di un Ranieri da Gasalbigi scritta alf autore in lode delle sue prime quattro tragedie, la trovai sì piena traboccante d* ingiurie contro il vero e contro la buona letteratura, e tanto parziale verso cui è dedicata, che mi fece tornare nel primo proposto. Lasciamo staie le altre scempiaggini di quella lettera, che queste carte sdegnerebbero, essendo ancor più stolte di quelle delf Àntipurisrao^ a una sola cosa io voglio rispondere. Egli scrive all’Alfieri,, Che y, quel suo stile Tha voluto con sommo impegno formart, selo sui nostri antichi modelli; cbe Dante più d^ogni al